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Quarto stato

Il Quarto Stato (1901), Pellizza da Volpedo

Olio su tela, Milano, Galleria d'Arte Moderna

RISARCIMENTO DANNI PER ECCESSIVA DURATA DEI PROCESSI

(La "legge Pinto")

La principale accusa che l’opinione pubblica muove alla giustizia italiana è l'estrema lentezza dei procedimenti giudiziari.

Allorché un processo ha (o ha avuto) una "irragionevole durata"si pone in contrasto con quanto sancito dall’articolo 111 della Costituzione e dall’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nella parte in cui garantisce appunto la “ragionevole durata” del processo, prevedendo il diritto di chi abbia subìto un danno (patrimoniale o non patrimoniale) in conseguenza di tale irragionevole durata, ad ottenere il riconoscimento di un’equa riparazione.

Con la legge 24 marzo del 2001, n. 89 (Legge Pinto) il legislatore nazionale ha appunto voluto dare attuazione a quanto stabilito all’articolo 6 della Convenzione europea, introducendo un rimedio “interno” con il quale assicurare il diritto ad equa riparazione a chi abbia subito pregiudizio dall’estrema durata del procedimento giudiziale.

A seguito dell’entrata in vigore di tale legge sono state emesse numerosissime sentenze di condanna a carico dello Stato italiano, alla riparazione dei danni subiti da soggetti coinvolti in vertenze che sono durate anni.

Prima dell’introduzione di tale legge, l’unico rimedio per il risarcimento dei danni subiti dalla lentezza del processo era quello di adire la Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Ora, a seguito dell’emanazione della legge 86/2001, l'azione per ottenere il ristoro dei danni subiti a causa della lentezza del processoè diventata assai più agevole.

L’art. 2 della Legge 89/2001 stabilisce che: “Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione”.

La legge prevede poi che il giudice debba tenere in considerazione, al fine di accertare la violazione in particolare di:

  • la complessità del caso;

  • il  comportamento delle parti durante il processo;

  • il comportamento del giudice e della altre Autorità coinvolte nel processo.

 

QUANDO IL TERMINE È “IRRAGIONEVOLE”

Diventa di primaria importanza, pertanto, stabilire quando la durata del processo non sia da considerarsi “ragionevole”, e vi sia quindi diritto alla equa riparazione prevista dal legislatore.

All’uopo occorre evidenziare che i giudici italiani hanno orientativamente fissato la durata ragionevole (salva sempre la valutazione della complessità del caso) in 3 anni per il procedimento di primo grado.

 Per il secondo grado, invece, la durata ragionevole è stata orientativamente fissata in 2 anni e 1 anno per i gradi successivi.

Di notevole rilievo poi, è la circostanza che la giurisprudenza costante ritenga ormai che il danno non patrimoniale non necessiti di alcun sostegno probatorio.

Questo significa che la parte che chiede il risarcimento non ha l’onere di provarlo ma che il giudice deve riconoscerlo tutte le volte in cui non ricorrano circostanze particolari che facciano escludere che tale danno sia stato subito.

Inoltre, a seguito di alcune pronunce della Corte di Cassazione, tale onere della prova è invertito, nel senso che non spetta più al ricorrente dover dimostrare il danno sofferto, ma spetta all’Amministrazione Statale convenuta provarne la mancata sussistenza nel caso concreto.

  

A CHI SPETTA IL RISARCIMENTO E QUAL È IL SUO AMMONTARE

Soggetto legittimato a chiedere il ristoro del danno subito in conseguenza della eccessiva durata del processo è chiunque abbia assunto la qualità di parte processuale.

Questo significa che esso spetta non solo alla parte attrice, ma anche al convenuto del procedimento che magari si sia limitato a richiedere il rigetto della domanda di controparte.

Inoltre esso spetta non solo alla parte “vincitrice”, ma anche alla parte risultata “soccombente” al termine del procedimento.

Ciò perché chiunque, anche la parte c.d. “soccombente”, può aver subìto un pregiudizio a causa della durata del procedimento protrattasi oltre il limite di “ragionevolezza”.

Inoltre hanno diritto a proporre la domanda di indennizzo anche gli eredi delle parti del processo e anche le persone giuridiche, in quanto per esse il danno patrimoniale, anche se non consistente nel patema d’animo e turbamenti per l’attesa estenuante del protrarsi del giudizio, configurabile unicamente per le persone fisiche, consiste invece nel c.d. danno all’immagine e alla credibilità commerciale che il protrarsi del giudizio può arrecare.

Quanto all’ammontare del risarcimento, esso viene normalmente liquidato in € 1000-1500 per ogni anno di ritardato processo.

Per informazioni più specifiche (che vanno fornite ovviamente caso per caso) info@studiolegaleoldrini.it.


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