Studio Legale Oldrini

Diritto del lavoro, dei disabili, della persona e di famiglia

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Quarto stato

Il Quarto Stato (1901), Pellizza da Volpedo

Olio su tela, Milano, Galleria d'Arte Moderna

Quando ricorrere se non è stata riconosciuta

INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO

Poiché la legge non stabilisce rigidamente le condizioni sanitarie per usufruire dell’indennità di accompagnamento, limitandosi a indicare che spetta quando una persona non è più autonoma nel compimento degli atti quotidiani della vita o non è in grado di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore, sono le sentenze dei giudici a interpretare  quando tali situazioni in concreto si siano realizzate.

Una circolare del Ministero, che impartisce le direttive ai medici delle commissioni mediche tenuti a verificare quando una persona non è più autonoma stabilisce che:

“Per atti quotidiani della vita…sono da intendersi.. il complesso di tali funzioni quotidiane della vita…individualizzabili in alcuni atti interdipendenti o complementari nel quadro esistenziale d’ogni giorno: vestizione, nutrizione, igiene personale, espletamento dei bisogni fisiologici, effettuazione degli acquisti e compere, preparazione dei cibi, spostamento nell’ambiente domestico o per il raggiungimento del luogo di lavoro, capacità di accudire alle faccende domestiche, conoscenza del valore del denaro, orientamento temporo spaziale, possibilità di attuare condizioni di autosoccorso e di chiedere soccorso, lettura, messa in funzione della radio e della televisione, guida dell’automobile per necessità quotidiane legate a funzioni vitali, ecc..”

Possiamo pertanto, a titolo esemplificativo, fornire un "decalogo" comprendente situazioni in cui è opportuno proporre ricorso qualora la Commissione abbia negato l'indennità, la quale, in linea di principio, spetta quindi:

1. a chi ha una deambulazione particolarmente difficoltosa e limitata (nello spazio e nel tempo), tale da essere fonte di grave pericolo in ragione di una incombente e concreta possibilità di caduta;

2. a chi non ha o ha perduto la capacità di orientarsi nel tempo o nello spazio e a chi non conosce il denaro o il suo uso;

3. a chi non è in grado di attuare condizioni di autosoccorso (es. chiamare aiuto in caso di pericolo);

4. a chi, pur in grado di compiere materialmente gli atti di vita quotidiana, si trovano nella incapacità di rendersi conto di comprendere la rilevanza di atti importanti (es. come seguire trattamenti farmacologici);

5. se vi è l'impossibilità a compiere anche un solo "atto" (es. in caso di impossibilità di compiere l'atto di vestirsi svestirsi o di igiene quotidiana);

6. a chi deve seguire una cura anche non quotidiana (es. trisettimanalmente un trattamento dialitico), in quanto "continua" non è solo l'assistenza necessaria in ogni momento della giornata, ma quella normalmente necessaria per la vita del soggetto invalido;

7. anche per situazioni molto brevi, anche inferiori al mese, nel caso in cui ad esempio un ciclo di chemioterapia non possa essere seguito dal disabile se non accompagnato o lo debiliti in maniera sensibile da non renderlo autonomo in quei giorni;

8. ai bambini (anche se in generale questi, per il solo fatto di essere tali, abbisognino comunque di assistenza continua): qualora versino in una grave situazione di salute che necessita di un'assistenza diversa per forme e tempi di esplicazione, da quella occorrente a un bambino sano;

9. a chi è affetto da degenerazione del sistema nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive (es.: Alzheimer), o impedimenti dell'apparato motorio (es.: Parkinson), e che richiedono una giornaliera assistenza farmacologia al fine di evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psico-fisiche nonché incombenti pericoli per sé e per altri (es. psicopatie con incapacità di integrarsi nel proprio contesto sociale), o forme di epilessia con ripetute crisi convulsive, che possono esporre a rischi per le perdite di coscienza improvvise.

10. a chi ha necessità di un accompagnatore per il raggiungimento del luogo di lavoro.


Riguardo alla incapacità di deambulare la Corte di Cassazione ha precisato che:

“Questa Corte ha affermato, proprio di recente, che, nella valutazione della incapacità ad attendere agli atti quotidiani della vita, il giudice di merito deve tenere conto di un difetto di autosufficienza talmente grave da comportare una deambulazione difficoltosa e limitata (nello spazio e nel tempo) tale da essere fonte di grave pericolo in ragione di una incombente e concreta possibilità di caduta e, quindi, tale da richiedere il permanente aiuto di un accompagnatore.”

Riguardo all’indennità di accompagnamento in generale la Corte di Cassazione ha chiarito che:

“E' giurisprudenza costante di questa Corte che le condizioni previste dall'art. 1 della l. 18/1980 per l'attribuzione dell'indennità di accompagnamento consistono alternativamente nella impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore, oppure nella incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza. La situazione di non autosufficienza, che è alla base del riconoscimento del diritto in esame, è caratterizzata, pertanto, dalla permanenza dell'aiuto fornito dall'accompagnatore per la deambulazione, o dalla quotidianità degli atti che il soggetto non è in grado di svolgere autonomamente; in tale ultimo caso è la cadenza quotidiana che l'atto assume per la propria natura a determinare la permanenza del bisogno, che costituisce la ragione stessa del diritto (cfr. ex plurimis: Cassazione 13362/2003; Cassazione 5027/2003; Cassazione 4389/2001).

E' stato, inoltre, affermato che le provvidenze a favore dei mutilati ed invalidi civili, previste, rispettivamente, dall'art. 12 della l. 118/1971 (pensione di inabilità) e dall'art. 1 della l. 18/1980 (indennità di accompagnamento), sono tra loro nettamente distinte, per essere assolutamente irrilevante per il riconoscimento di quest'ultima provvidenza lo stato di totale incapacità lavorativa o la presenza delle condizioni economiche stabilite dall'art. 26 della l. 153/1969, perché la concessione dell'indennità di accompagnamento si configura come una prestazione del tutto peculiare in cui l'intervento non è indirizzato - come avviene per la pensione di inabilità - al sostentamento del soggetto minorato nelle sue capacità di lavoro (tanto vero che l'indennità può essere concessa anche ai minori degli anni diciotto ed a soggetti che, pur non essendo in grado di deambulare senza l'aiuto di un terzo, svolgano tuttavia una attività lavorativa al di fuori del proprio domicilio), ma è rivolto principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi carico dei suddetti soggetti, evitando così il ricovero in istituti ed assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale (Cassazione 11295/2000).

E' stato infine chiarito che non assume alcuna rilevanza ai fini del riconoscimento all'indennità in esame la circostanza che la necessità di un concreto e fattivo aiuto fornito da terzi sia perdurante per l'intera giornata, potendo anche momenti di attesa, qualificabili come assistenza passiva, alternarsi nel corso della giornata a momenti di assistenza attiva, nei quali la prestazione dell'accompagnatore deve concretizzarsi in condotte commissive (cfr. al riguardo Cassazione 5784/2003).

Orbene, in considerazione del rilievo costituzionale assunto dall'assistenza (art. 38 Cost.) e della ratio sottesa all'indennità di accompagnamento - cui non è di certo estranea, come visto, l'esigenza di sostenere il nucleo familiare onde agevolare la permanenza in esso di soggetti abbisognevoli per le loro gravi infermità di un continuo controllo - i principi innanzi enunciati devono trovare applicazione in presenza di quelle malattie che, per incidere notevolmente sulle capacità intellettive ed, in genere, cognitive, trovano nella famiglia, per i suoi naturali vincoli solidaristici, l'ambiente più favorevole ad alleviare le sofferenze di quanti sono da esse colpiti.

Ciò spiega la copiosa giurisprudenza di questa Corte, che ha riconosciuto il diritto all'indennità di accompagnamento: a persona che, per deficit organici e cerebrali per "patologia connatale", si presentava incapace di "stabilire autonomamente se, quando e come" svolgere gli atti elementari della vita quotidiana, riferendosi l'incapacità non solo agli atti fisiologici giornalieri "ma anche a quelli direttamente strumentali, che l'uomo deve compiere normalmente nell'ambito della società" (Cassazione 3299/2001); a persona che, per infermità mentali, difettava anche episodicamente di autocontrollo sì da rendersi pericoloso per sé e per altri (Cassazione 4664/1993); a persona che, per un deficit mentale da sindrome psico-organica derivante da microlesioni vascolari localizzate nella struttura cerebrale e destinate a provocare nel tempo una vera e propria demenza, non poteva sopravvivere senza l'aiuto costante del prossimo (Cassazione 6673/2002); a persona che, anche per un deterioramento delle facoltà psichiche (in un quadro clinico presentante tra l'altro ictus ischemico e diabete mellito), mostrava una "incapacità di tipo funzionale", di compiere cioè "l'atto senza l'incombente pericolo di danno per l'agente o per altri" (Cassazione 4389/2001); a persona che, affetta da oligofrenia di grado elevato, con turbe caratteriali e comportamentali, era incapace di parlare se non con monosillabi e di non riconoscere gli oggetti, versando così in una situazione di bisogno di una continua assistenza non solo per l'incapacità materiale di compiere l'atto, ma anche "per la necessità di evitare danni a sé e ad altri" (Cassazione 5017/2002).

Corollario delle diverse statuizioni dei giudici di legittimità è la configurabilità di un diritto all'indennità di accompagnamento in relazione a tutti quelle malattie che, per il grado di gravità espresso, comportano una consistente degenerazione del sistema nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive (ad es.: Alzheimer a gravi forme di vasculopatia cerebrale), o impedimenti dell'apparato motorio (ad es.: Parkinson), o che cagionano infermità mentali con limitazioni dell'intelligenza, e che, nello stesso tempo, richiedono una giornaliera assistenza farmacologia al fine di evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psico-fisiche nonché incombenti pericoli per sé e per altri (es. psicopatie con incapacità di integrarsi nel proprio contesto sociale, o forme di epilessia con ripetute crisi convulsive, controllabili solo con giornaliere terapie farmacologiche).

Condizioni patologiche tutte, queste, che rendono a diverso titolo necessaria una continua assistenza giornaliera, giustificante il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento, in attuazione di quegli obblighi di assistenza sociale, il cui adempimento si mostra indispensabile per infermità che, come attesta la realtà fattuale, sono sempre più spesso destinate a gravare sulla vita delle famiglie che vedono uno dei loro componenti colpiti dalle suddette malattie.

In un siffatto contesto ricostruttivo va evidenziato come la capacità del malato di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psico-fisica; e come ancora la capacità richiesta per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell'ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l'incidenza sulla salute del malato, nonché la salvaguardia della sua "dignità" come persona (anche l'incapacità ad un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per l'imprevedibilità del loro accadimento, attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto Cassazione 13362/2003).

Ed ulteriore corollario di quanto detto è che la valutazione in concreto della incapacità, richiesta per il riconoscimento dell'indennità d'accompagnamento, si traduce in un giudizio di fatto devoluto al giudice di merito che, se adeguatamente motivato e se formulato nel rispetto della lettera e della ratio della normativa regolante l'istituto in oggetto, non è suscettibile di alcuna censura in sede di legittimità.

 Nel caso di specie la sentenza impugnata va cassata perché il giudice d'appello nel rigettare la domanda ha trascurato, oltre che la giusta lettura del dato normativo (art. 1 l. 18/1980 ed art. 1 l. 508/1988), anche quella che si è visto essere la sua ratio.

Detto giudice, infatti, pur ritenendo presente nella C. una alterazione delle sue capacità cognitive, responsabile di una non lieve debilitazione psichica del soggetto nonché di difficoltà nella comprensione del linguaggio scritto e nell'affrontare situazioni al di fuori delle minime necessità della vita quotidiana "a causa di un pensiero dal corso rallentato e dal contenuto povero, con conseguenti difficoltà nella soluzione di problemi anche banali", ha poi concluso - facendo proprio il parere del consulente d'ufficio - per l'infondatezza della domanda della suddetta C. senza tra l'altro fornire una congrua motivazione al suo giudizio. In altri termini il tribunale di Napoli non ha considerato - così omettendo un doveroso e rigoroso accertamento sul punto - se, per la mancanza di una effettiva capacità di intendere il significato degli atti che andava a compiere, si rendeva necessaria la presenza di una accompagnatore, anche perché la C., per essere affetta da epilessia secondaria con crisi convulsive e potendo ricavare benefici da un trattamento farmacologico, aveva bisogno nella quotidianità di una continua assistenza.”


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